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mercoledì 29 febbraio 2012

Il gioco della truna

Si rigirò nel letto e il respiro pesante si interruppe per  un istante, una piccolissima apnea, una sospensione, un attimo di morte.
 Istintivamente la mano si posò sulla spalla e la semplice pressione fece ripartire il movimento, l’aria si infilò con un risucchio nei polmoni, il torace sussultò, la lingua schioccò contro il palato e finalmente l’automazione riprese silenziosa. Dentro, pausa, fuori.
 Dentro, pausa, fuori.
Dopo l’ennesimo salvataggio pensò di meritarsi un premio e si rannicchio contro il suo corpo caldo cercando di non disturbarlo. Riaddormentarsi sarebbe stata un’impresa ma il calore aiutava.
 Quando tutti gli altri metodi fallivano il trucco mentale della truna funzionava sempre.
Tutte le volte ne costruiva una diversa nei particolari ma fondamentalmente uguale nelle linee  generali.
Dunque,  si partiva da una situazione di freddo, ci voleva una storia appena credibile, inventata in fretta e, a volte, riciclata, dove la neve era chiaramente indispensabile e seguiva  l’aggiunta di materiali vari a seconda delle disponibilità: teli, coperte, materassini, giacche a vento...quando la truna era pronta assomigliava ad un nido morbido e caldo e all’esterno, immancabilmente, fuori, imperversava la tempesta e il freddo più assurdo. La neve ricopriva quasi completamente l’entrata e dentro il calore dei due corpi si fondeva in un tepore meraviglioso che magicamente portava con sè il sonno.
La truna era il “suo” trucco e non lo avrebbe detto a nessuno.
 Mica come il metodo freddo  e troppo tecnico dello sdraiarsi sulla schiena con tutte le parti del corpo ben aderenti al letto e l’elenco noiosissimo dal piede destro al sinistro e poi su caviglia, polpaccio, ginocchio...che più che dormire ti veniva il nervoso quando non ricordavi esattamente il nome di una parte o peggio ti tornava  in mente un dolorino dimenticato e di lì partivi per un infinità di paranoie mediche. La sola cosa carina del trucchetto della visualizzazione corporale è che era stato un regalo, dato come una vecchia ricetta di famiglia, da un caro amico che per la verità, adesso che ci ripensava, non sembrava avere problemi di insonnia... no, no,  la truna funzionava sempre.
 Incominciò a scavare, i passaggi di costruzione  erano accellerati e in un minuto la truna era pronta e lei raggomitolata al caldo con il piede destro in movimento, meno male che lui dormiva già. Anche il movimento ritmico del piede accellerava il sonno ma come effetti secondari scatenava nervosismi nei compagni di truna, di letto.
Non capiva se era merito del lieve rumore provocato dal piede che si massaggiava contro le lenzuola o se era il massaggio stesso a dare benefici, che importava. Probabilmente era un’abitudine presa nel grembo materno, forse, nei lunghi mesi passati in posizione podalica. Per lungo tempo il piede era stato ad altezza viso o orecchio e il movimento solleticava la guancia o il lobo e là che partiva la nanna. Podalica lo era stata e fasciata pure per evitare che il corpo stesse come un vecchio libro, chiuso. Fasciata per impedire il giochetto del piede? A chi avrebbe dato fastidio?
Si stava allontanando dalla truna e questo non era bene per il sonno. Ci si rinfilò. Aumentò il livello del suono delle avversità atmosferiche, più vento, un leggero fischiare tra gli alberi molto scenografico. Più freddo fuori più tepore dentro, era una questione di equilibrio...e di sonno.
Il sogno ricominciò esattamente da dove si era interrotto prima dell’apnea, lei camminava lungo una strada buia che saliva dolcemente sulla collina, intorno la natura era selvatica, disordinata. Qualche gradino sconneso collegava la strada principale ad un vicolo reso lugubre da pochi cipressi disordinati, in fondo un cancello trasandato lasciava intravedere un cimitero. Spinse il cancello  guardandosi intorno.
La sveglia suonò.

lunedì 27 febbraio 2012

Chi l'avrebbe detto?

Chi l'avrebbe detto?





Quando faceva Brice?

Ma The Artist non l'ho visto. Adesso non posso non farlo se voglio sopravvivere alle chiacchere basiche, tipo quelle dal parrucchiere, qui in Sarkolandia. A me piaceva già quando faceva Brice.




Ma qui era fascinoso!

sabato 25 febbraio 2012

Quiz

Cosa ho in comune con lei? o con lei?

Date prova di intuizione e sintesi.
Sono peggio della Settimana enigmistica, ma con le parole crociate facilitate, le uniche che riesco a fare con un minimo di goduria.

...basici, più basici dovete essere. Per aiutarvi:



THE WINNER IS...
La vincitrice ha dato prova di grande capacità logica, intuizione, senso vivo dell'osservazione e forse, dico forse, ha beneficiato di una qualche soffiata familiare... Comunque il piccolo vezzo che accomuna le due dive è la miopia...e secondo la mia oculista alsaziana anch'io potrei essere del club! Io, io che mi sono sempre vantata di una vista perfetta?! Ma siura, dice l'alsaziana, è l'età! Ma non si diventava presbiti?!

venerdì 24 febbraio 2012

Chez moi

Ssstttttt  buonanotte...


Minestrone mattutino

come Amicizia. Quella vera, quella che non si interrompe mai. Ma anche quella cercata, quella che si nega e che ti colpevolizza. L'amicizia ti scalda come una tisana di zenzero. L'amicizia che si interrompe all'improvviso e ti gira nella testa come un amore perso.

B come Baratto, che è quello che si utilizza anche nei sentimenti. Io ti do, tu mi dai. Poi si fanno i conti su quanto dato e quanto ricevuto e, in genere, finisce qualcosa. Perchè funziona finchè non si fanno somme e sottrazioni.

C come Colpa. Colpevolizzarsi è un fondamentale, come per gli esami all'università. Di chi è la colpa? Essendo figlia unica ne ho fatto un'arte.

D come Dimenticare. Giammai. Poichè è impossibile, se non per le cose poco importanti, gli oggetti piccoli e gli indirizzi, inutile utilizzarlo come proposito per situazioni serie. Non dimentico, archivio.

E come Essere. In tutte le sue coniugazioni. Come sei! Saresti, eri. Sono. In genere seguito da aggettivi che non concordano, quasi mai, con il sentire del soggetto.

F come Finire. Finire il post che mi sta diventando una lagnata.

Aggiornamenti: ho finito il libro Mezzana e confermo la prima impressione, poche emozioni e pochi colori.
 Ho stropicciato il Tecnico e ho scoperto che la quasi Morosa legge il blog, tradotto, che è un guaio perchè, in genere, le traduzioni sono poco fedeli all'originale. Confido nel traduttore di madrelingua con tanto di Maturità internazionale ( sempre il Tecnico).
 Lo Scettico è in Polonia e mangia lucci alla livornese.
 Cucciolo si è trovato due stages, con la s perchè sono due, così lavorerà tutte le vacanze di febbraio ma ne è felice.
Oggi vado dall'oculista e così, forse, capirete il malumore serpeggiante di questo post!


giovedì 23 febbraio 2012

Intercettazioni

 " Dobbiamo proprio dirlo a 'sti neutrini che sono degli sfigati...telefoni tu al Cern?"

mercoledì 22 febbraio 2012

Se non c'è lo Scettico, tocca a voi...

Chi mi conosce già dall'era splinderiana sa che, ogni tanto, c'è l'angolo del sogno.
Non nel senso di desideri a venire ma proprio sogni notturni.
Io sogno tantissimo, dettagliatissimo, coloratissimo e a volte con effetti degni di sostanze illecite, che poi non so, perchè non ho mai provato niente di illecito che andasse oltre una sigaretta ai tempi delle superiori, quindi gli effetti forse non sono poi così fantastici.
Sono stata tantissimi personaggi e ho fatto cose incredibili.
 Ho ucciso, in modi molto violenti,  parecchi uomini e donne.
 Ho volato, galoppato, nuotato come un delfino.
 Sono morta un sacco di volte e rinata solo una.
 Ho avuto una specie di esperienza extracorporale e mi sono guardata mentre dormivo con lo Scettico ronfante.
Sono stata la moglie di Tutankhamon, eviscerata e risvegliata da tombaroli rumorosi.
Lottatrice di wrestling, domatrice di leoni, pilota di aerei.
Mi sono ritrovata nuda nei posti più incredibili e imbarazzanti che si possa pensare.
 Ho guidato a velocità pazzesche ad occhi chiusi, gridato in mezzo a folle indifferenti e sono stata un ologramma bellissimo.
Ho mangiato cose ripugnanti.
Ho perso denti e ho cercato di rimettermeli tutte le volte.
Quando sto per ammalarmi sogno carne cruda e se mangio insalata a cena, incubeggio.
Se ho la febbre sogno ragni enormi.
Ho riso e pianto con persone morte, ho passeggiato in Paradiso con la mia mamma e ho piantato ulivi con il mio papà. Ho giocato con i miei cani passati.
Ho visto figli miei che non sono nati e ho provato una tenerezza incredibile.
Ho visto il papa che però era donna e lavorava in un mercato.

Adesso ditemi voi, se non sognassi così, che vita piatta sarebbe la mia?


lunedì 20 febbraio 2012

Comunicazioni di servizio

Nella mia immensa ignoranza del mezzo, solo oggi ho scoperto che potevo abilitare i commenti di tutti.
Avviso quindi i rari lettori che possono lasciare i loro pensierini senza tante brighe informatiche.
Mi scuso e mi riscuso con il mio carissimo amico Guido, lettore coraggioso di questo blog e del suo antenato splinderiano, che ho costretto a manovre complicate e a dare da cena a giovani informatici volenterosi per poter commentare questi casalinghi post.
Approfittatene gente! Commentate senza ritegno!

Weidmannsheil



Ci si preparava  già durante la settimana: destinazione, meteo, avvistamenti, preparazione del materiale.
Il venerdì sera si era a letto presto. Io ero a letto presto perchè tu dormivi solo tre, quattro ore, come sempre.
La cucina profumava di caffè amaro, di panini, di zaino, di cartucce e il buio era profondo.
Mi infilavo un sacco di vestiti: le calze di lana, la maglia sotto, la dolcevita, il maglione leggero e quello pesante verde, verde assolutamente.
Facevo colazione senza fame perchè: poi lo sai che si cammina.
Chiaccheravo tantissimo con mamma perchè: poi lo sai che devi stare zitta.
I  "mi raccomando" sussurrati di mamma ci seguivano teneri lungo le scale, giù, fino all'angolo.
In macchina avevo voglia di dormire ma faceva troppo bambina e così scrutavo le montagne che erano ombre giganti, guardavo le tue mani che si accendevano una sigaretta, cambiavano marcia nervose, pulivano vetri appannati con stracci sporchissimi, controllavano permessi nelle tasche, si accendevano un'altra sigaretta.
Dopo qualche sbadiglio, tante sigarette e poche parole parcheggiavamo in boschi profumatissimi e vivi di piccoli rumori. Ti caricavi in spalla lo zaino, il fucile, indossavi il cappello e ti mettevi un dito sulle labbra: adesso ssssssttttt.
Si saliva nel bosco piano e tu, che eri un uomo grande, imponente, ti trasformavi in uno scoiattolo silenzioso che schivava rami nel buio e alzava la testa per ascoltare fruscii e versi che sembravano grida.
Mi facevi  sempre salire per prima sulla postazione. Tu eri dietro come una balaustra sicura e quando era il momento di scendere, scendevi per primo, dopo pochi pioli mi aspettavi...

Tuo nipote, senza saperlo, ha fatto gli stessi gesti per me ieri e in silenzio mi sono commossa.
 Braccia come incrollabili barriere per chi amate, uomini di altri tempi, diversi e sempre uguali.
 Ti ho immaginato ai piedi della scala, che sorridevi.

giovedì 16 febbraio 2012

Decisioni

Domani arriva il Tecnico
non sarà solo,
ma io ho deciso.
Me lo stropiccerò lo stesso,
tanto la quasi morosa  straniera è...e questo blog per fortuna non lo legge.
Che poi tanto non ci crede nessuno a 'sta storia che ci siamo evoluti a contatto con i freddi cugini francesi.
Mamma italiana sono.

martedì 14 febbraio 2012

Il neige à Strasbourg







Due foto fatte al volo mentre andavo dal dentista, per distrarmi e distrarvi...


Valentino

Il mio Valentino.
Il mio Valentino era magrissimo,
portava occhiali con una montatura pesantissima,
i capelli corti con la riga laterale perfetta.
Il mio Valentino suonava il piano e aveva il diploma di solfeggio,
si era diplomato allo scientifico con 58/60,
aveva già la patente e una Ritmo verde.
Il mio Valentino ascoltava musica classica e le canzoni di Vasco, perché era praticamente un vicino di casa.
Il mio Valentino aiutava la mamma a lavare i piatti in campeggio,
faceva le parole crociate
e portava dei costumi da bagno alla Rocco, anche il bianco...con nonchalance.
Il mio Valentino chiedeva il permesso di invitarmi in spiaggia al parente maschio con il "grado" più alto di parentela
e si premuniva immediatamente di avvisarmi che era microcitemico...non si sa mai.
Il mio Valentino nuotava come Ermenegildo Arena e se ne approfittava della mia montanarità,
giocava a tennis e adorava la pallacanestro.
Tifava Spal.
Il mio Valentino aveva diciotto anni.
Lo amo da ventinove anni...

Il mio Valentino ha raccolto cose buone lungo la strada,
le abbiamo condivise e gustate, guardandoci negli occhi.
Insieme abbiamo abbracciato, accarezzato, sollevato, pulito, spostato, spinto la nostra vita.
Poche volte ci siamo girati a riguardarla,
quando lo facciamo
ci sembra un sogno
lungo tre giorni.
Quelli che ci sono serviti per riconoscerci.



martedì 7 febbraio 2012

La mia Mezzana

Ho iniziato a leggere il romanzo Mezzana di Giancarlo Patris, romanzo scoperto per caso su Fb, desiderato subito, fortemente voluto, pagato il doppio del suo valore, viste le spesucce di spedizione. Generalmente, quando si mettono troppe aspettative su qualcosa, si resta un po' delusi e pagina dopo pagina la delusione aumenta.
 Mezzana è il paese di mio padre, è il posto dove ho trascorso tutte le mie estati fino alla maggiore età, è una parte della mia storia, sono ricordi di infanzia e ricordi raccontati, talmente tante volte, che sono parte di me come se li avessi vissuti io.
Mezzana è un dialetto di confine, è montagna di castagni, è la durezza del Pizzo d'Uccello addolcita dagli ulivi e dal rosmarino che profuma l'aria a Pasqua, è rumore di fontane che si spegne  nelle calde giornate estive, è poggi scoscesi e voci che si chiamano da un podere all'altro solo per farsi compagnia e ridere di un richiamo.
 È il suono del camioncino che vendeva i gelati, è il sapore delle cose cotte nel forno a legna, è il telefono nella bottega della piazza.
Mezzana sono suoni di campane che si rincorrono, galli che si presentano al sole del mattino, passi antichi che percorrono strade sempre più deserte.
Mezzana è una vecchia signora che cammina dritta ed elegante con un secchio sulla testa. Sono gli uomini a messa, dietro l'altare, soli e seri e che escono prima della fine per fumare una cicca sul sagrato aspettando i tortelli della festa.
Mi aspettavo di trovare un po' di questa poesia nel romanzo di Patris.
Forse volevo trovarci il mio papà ragazzino, volevo trovarlo, sporco e scalzo, a fianco del protagonista, in una Mezzana ai tempi della guerra, volevo ritrovare luoghi dimenticati e profumi di tradizioni...
Per il momento il personaggio principale, Gianluca,  coetaneo del mio papà nella storia, è un esageratamente maturo signorino di città che fa amicizia con il maestro del paese e a cui non riesco proprio ad affezionarmi.
Continuo a leggere, signor Patris, ma credo di cercare luoghi e personaggi che lei forse non ha incontrato e che non può restituirmi...

PS
Ho preso in prestito questa foto da Fb e  ringrazio moltissimo l'autore sconosciuto!

venerdì 3 febbraio 2012

Wislawa Szymborska 1923-2012

Dopo ogni guerra

c’è chi deve ripulire.
In fondo un pò d’ordine
da solo non si fa.

C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.

C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.

C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.

Non è fotogenico
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono già partite
per un’altra guerra.

Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.

C’è chi, con la scopa in mano
,
ricorda ancora com’era.
C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.

Ma presto
 lì si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po’ noioso.

C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con la spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.

(“La fine e l’inizio”, in “La fine e l’inizio”, 1993)