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giovedì 29 ottobre 2015

Sorelle

Ho ricevuto sul telefonino una lunga storia che parla di donne, un invito a guardare le altre donne come sorelle. Parole che mi hanno fatto riflettere, che mi hanno intenerito e fatto guardare intorno. Ho visto tanti volti e le ho contate con il cuore.
Sono figlia unica non consenziente, il che vuol dire che ho sofferto molto ad essere sola di fronte al mondo degli adulti.
L'amicizia, per me, era il solo modo per cercare un altro io bambino con cui parlare la stessa lingua. Quando si è piccoli, questo altro io bambino può essere di qualunque colore, rosa o azzurro, poco importa ma quando si cresce questo colore rosa diventa un segnale, una piccola bandiera.
Alle elementari c'era l'angolo bambine con tanto di elastico, salti e coreografie acrobatiche, c'era la corda da saltare e le bamboline tascabili che ripiegate stavano in cartella. I maschi invadevano il resto del mondo. Correvano, si spingevano, inciampavano volontariamente nel labirinto di elastici, ridevano e sapevano di terra e vento ma non si fermavano mai a parlare. Io, abituata al mondo dei grandi, volevo invece raccontare. Il rosa era più disponibile.
 Sedute sui gradini del cortile si intrecciavano capelli e storie, vere e inventate, si parlava di mamme e di fratellini (le più fortunate), di regali di Natale ad ottobre e si rideva dell'azzurro che era buffo e invadente.
Più  grandi, sempre sedute sui gradini di un mondo diventato difficile, si intrecciavano capelli e lacrime, si parlava di mamme e litigate, di cinema non concessi, di libri proibiti, di mascara rubati alle zie, di discoteche ( le più ardite) e si rideva dell'azzurro che era ancora buffo ma molto intrigante.
Un mondo di complicità colorato di rosa che purtroppo si assottigliava man mano che crescevi.
 Poco tempo per sederti sulle scale, forse.
 Ma camminando c'è sempre qualcuna che ha il tuo stesso passo e con cui puoi scambiare ancora parole anche se questo azzurro non è più buffo e si è ritagliato uno spazio enorme, si è rosicchiato parecchio rosa intorno e domina il tempo.
Poi ci sono gli anni in apnea. Quelli che passi correndo e ti manca il fiato per i momenti rosa e la frase ritornello è: ti racconterò ...
Le cose da raccontare si accumulano come i vestiti da stirare e chissà perché  le storie più rognose continuano a restare in fondo alla cesta, come le camicie plissettate e fai fatica a raccontarle anche ai tuoi ritagli rosa più cari.
Piano piano, rallenti, prendi fiato, vedi due gradini sulla strada e ti siedi un attimo.
Magari non ci sono più tanti capelli da intrecciare ma le storie non mancano e non occorre nemmeno inventarle perché la vita ha una fantasia inesauribile.
E si parla ancora di mamme che siamo diventate e di fratelli che sono cresciuti ( le più fortunate), di Natali complicati ma attesi con la stessa emozione, di figli che crescono, di corpi che cambiano e di questo azzurro che è sempre buffo ma tenero e che a raccontarcelo da una vita ha perso l'aspetto intrigante e misterioso.
Non potrei mai rinunciare ai miei momenti rosa anche perché sono figlia unica non consenziente e reclamo, forte e chiaro, il diritto alla sorellanza.
Una sorellanza che va costruita, protetta, difesa e rivendicata ad alta voce. Io ci credo.
E a tutte le mie sorelle che passeranno di qua e si riconosceranno senza esitazione regalo un sorriso...lo stesso che stai facendo tu.
Ti voglio bene.

martedì 13 ottobre 2015

Sedimenti

La vita è un gioco di ombre cinesi. Tu credi di vedere draghi e farfalle e invece sono solo mani rugose. Oppure vedi lupi cattivi e dietro hai le mani di un bambino.
La vita è un'ubriacatura dove non hai più il senso delle distanze, materiali ed emotive, tutto è esagerato e tutto ti colpisce. È un girotondo sempre più veloce che alla fine per forza devi buttarti per terra ma comunque ti viene da ridere.
La vita è una giornata lunga d'inverno e ti meravigli sempre di quanto presto viene la notte e a volte c'è pure la fregatura dell'ora legale per qualcuno.
La vita è un album di foto pieno di ricordi che ti fanno sorridere, pieno di ricordi belli e fermi, di facce che non ci sono più, di Natali senza profumo, di foto che vorresti strappare ma se alzi la plastica poi si rovinano tutte e allora ti devi tenere anche le foto brutte.
La vita è una tavola alla fine di una festa con bicchieri vuoti e briciole di pane che cercando di raccoglierle ti graffiano il palmo della mano e ti rendi conto che sono le cose più piccole  quelle che restano a grattuggiarti l'anima.
Questa vita è un minestrone di coincidenze e mentre allunghi il tuo piatto non puoi nemmeno scegliere se avere più carote o patate, speri solo di avere poco sedano. Poi ti siedi e mangi e sorridi pensando che forse è proprio il sedano che esalta il gusto del tutto.
Questa vita è una mattina d'autunno che non hai il coraggio di uscire e cerchi tutte le scuse, è una canzone tristissima che continui ad ascoltare per scaldarti gli occhi, è una nostalgia che sale e non trovi più niente per arginarla perché hai già usato tutti gli asciugamani vecchi e sporchi che avevi.
E allora sai che devi fare? Lasciare che esondi e goderti gli strani percorsi che sceglie di fare: anse, curve improvvise, pause e golfi. Un delta di nostalgia.
Ecco la vita è un delta di nostalgia.

giovedì 8 ottobre 2015

But your dreams may not...

Chissà se i miei sogni valgono qualcosa.
 Servono sicuramente ad annoiarvi  qui sul blog da molto tempo ma serviranno a qualcuno?
Camminavo in un buio vischioso questa notte e ogni tanto dalle tenebre usciva un bimbo che mi chiedeva dove doveva andare.
Io mi avvicinavo, lo guardavo negli occhi e gli sussurravo dove andare. O meglio da chi andare.
C'è stato un maschietto paffuto con occhi azzurri che profumava di biscotto ed io non ho avuto dubbi ad indicargli la strada. Poi una bimba dagli occhi profondi e neri che avevo già incontrato, tanti anni fa, in un bellissimo sogno. Lei l'ho mandata molto lontano ma se arriverà a destinazione ne sarò  felice.
Sono mesi ormai che sogno bambini piccoli,  rallegrano le mie notti e mi tengono impegnata. Molto probabilmente questa sindrome da nido vuoto ha degli strascichi lunghi, più lunghi del previsto.

Spesso, sveglia,  mi ritrovo a fare conti dolorosi e inutili e penso che potresti avere già  dieci anni  e che, se i sogni avessero un senso, adesso saresti qui a fare compiti in inglese ridendo della mia incapacità e sorridendo dei tuoi progressi e  sicuramente passeresti le serate al telefono con i tuoi fratelli lamentandoti con loro delle mie regole e  rigidità.
Ma i sogni non sempre seguono le strade giuste e a volte sono solo piccole finestrelle da dove puoi spiare spiragli di una felicità che non sarà mai.
Però vorrei  proprio che questo sogno avesse ali forti per volare lontano e che questi bimbi sognati entrassero, a piccoli passi, nei sogni di altre donne per diventare veri bimbi, profumati di biscotto.






lunedì 5 ottobre 2015

Ottobre rosa

Tutte le mattine indosso una vestaglia rosa. È una vestaglia di flanella rosa che incomincia ad avere qualche acciacco,  ha una sfilacciatura della tasca, il bordo con i punti  lenti e la chiusura difficile.
Quando la indossava lei, il rosa sembrava più intenso ed aveva sempre un profumo delicato, adesso è un po' sbiadita, come succede ai ricordi ma resiste ed io la curo perché ne ho bisogno.
La mia vestaglia è rosa perché questo era il suo colore preferito ma non è sdolcinata, anzi, il taglio è rigoroso, asciutto, lineare proprio come era lei.
Usava la vestaglia rosa come fosse uno scialle o come fosse uno scudo, dipendeva dalle situazioni. La indossava con piglio deciso se era una giornata difficile, infilando le maniche con gesti rapidi e bruschi. La vestaglia ubbidiva e accompagnava i movimenti, morbida e premurosa.
Nella serate malinconiche, aspettando la camomilla, la vestaglia si accoccolava sui piedi per darle conforto e conciliare il riposo. Nelle giornate buone veniva lasciata sul gancio del bagno, in attesa, mentre lei usciva e si indaffarava altrove.
Quando mamma se ne è andata, la vestaglia è rimasta, paziente, su un gancio del bagno ad aspettare. Ci sono voluti dei mesi prima che avessi il coraggio di prenderla.
Da allora condividiamo tutte le mattine e qualche serata solitaria anche se non è più tonica come un tempo  e il freddo del Michigan la mette a dura prova.
La mia vestaglia è rosa e nel mese di Ottobre è anche una bandiera per ricordare che è tempo di combattere e di non nascondere la testa sotto la sabbia della paura.
Perché solo chi è stato sul campo di battaglia, come lei, può infondere coraggio e spronare e sbarrare il passo a chi vorrebbe scappare come faccio io, a volte.
Quindi, ragazze, indossate la vostra vestaglia rosa e combattete facendo prevenzione.
La vestaglia ed io ve lo raccomandiamo.