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domenica 30 giugno 2013

Rêves ...

Il teatro è immerso in una triste penombra.
Il vestito, con l'ampia scollatura, produce un piacevole fruscio ad ogni mio movimento. Quanto mi costa suonare oggi, eppure il concerto l'ho provato e riprovato.
 Suono con fatica. Ho la febbre, credo.
Mi tocco il collo e sento un rigonfiamento sotto l'orecchio. Mi fa male.
Mi sento svenire, devo sdraiarmi.
 Il prete, che assisteva alle prove, si avvicina, mi sussurra che ci sono in giro casi di peste e che, pare,  io ne abbia già tutti i sintomi, dovrò abbandonare l'idea del concerto.
Sono arrabbiata. Faccio di no con la testa ma sento la febbre salire e so che dovrò lasciare il posto a quel viziato marmocchio di mio fratello.
Quanto sono arrabbiata.

Questa notte ero la sorella di Mozart.

Al risveglio rido del mio sogno con uno Scettico sempre più perplesso.  Sai, questa notte ero la sorella di Mozart! Chissà se Mozart aveva una sorella veramente? Ero una pianista.
Lo Scettico scuote la testa e sorride. Ma non era figlio unico Mozart? Ho questo ricordo nella testa.
Il sogno è, come sempre, ancora vivo e reale nella mia testa e non  riesco a staccarmi da lui.
 La curiosità sale. Mi alzo e vado al computer. Cerco Mozart ed eccola... la sorella pianista che è passata in secondo piano rispetto al fratello per volontà della famiglia, pare.
Sono allibita. Come ho potuto fare un sogno simile?
Non avevo mai letto niente di questa donna, ne ignoravo completamente l'esistenza.
Come ho potuto inventarla, provare delle emozioni  così reali?
 Ho suonato il piano ( io che non so suonare alcun strumento!), ho cercato di resistere per non essere messa da parte, ho avuto paura per la malattia... ero Maria Anna Mozart.




Incomincio seriamente a preoccuparmi.

mercoledì 26 giugno 2013

Era un caldo pomeriggio d'estate...

 
Allo stato attuale delle cose ho ricevuto tre regali:
 
Una frase scritta con il cioccolato bianco.
Grazie Cucciolo.
 
Una poesia struggente da un amico lontano.  Grazie Diaolin.
 
 
 
 
Splendidi fiori  dall'Italia. Grazie Franco e Maurizia!
 
Vi terrò aggiornati  ma la giornata promette bene
 
 
 
 
 

lunedì 24 giugno 2013

Dov'è la Lunigiana?


Molte volte faccio fatica a spiegare la disposizione delle regioni italiane ai francesi e prendo grandi punti di riferimento: sotto l'Austria,  vicino alla Francia, di fronte a...
Capita che qualcuno, particolarmente interessato, si armi di atlante, durante una cena e come uno scolaro bendisposto apra sulla pagina dello stivale e ti chieda: ma dov'è esattamente?
Dov'è Trento? Dov'è Ferrara? Dove sono le Dolomiti?
Ma oggi  mi chiedi: dov'è la Lunigiana?

È lì, appoggiata tra la Liguria e la Toscana, profumata di basilico e rosmarino che cresce libero lungo le strade, è lì, intrappolata tra le Apuane che la stringono forte come per possederla e non lasciarla scendere al mare che è lì, vicino e caldo e le invia un profumo salmastro in cambio di luccichii d'ulivi e lampi accecanti di marmo.
La Lunigiana è una terra dura, di montagne e poggi ripidi.
Ci sono paesi piccoli, con case vicine, vicine come i pezzi del Lego e aggrappati ai castagni per non finire nel fiume Magra.
Ci sono case vuote che aspettano ritorni estivi non garantiti.
La Lunigiana ne ha dovuto lasciar partire tanti e aspetta ancora che tornino, addormentata tra case di pietra che hanno ancora stalle e mestieri scolpiti sopra i portoni.
La Lunigiana è la mia metà, è la terra di mio padre, è l'estate della mia infanzia, è lucertole e parietaria sui muri, è silenzio e chiacchere di donne che riposano all'ombra delle case.
La Lunigiana è gente abituata ad aggrapparsi, a resistere, a lasciar passare: passare la storia, passare i briganti.
 E per passare il tempo la Lunigiana canta il maggio e ride di se stessa.
 Questa è gente abituata ad essere dimenticata solo perchè, qui, le strade finiscono.
Ho paura che sarà dimenticata anche adesso.

Hai capito dov'è?




venerdì 21 giugno 2013

La terra della Luna

 
 
Essere al telefono per chiedere notizie, sentire le grida di paura per la terra che si scrolla ancora, come un cane bagnato, ti fa sentire  impotente e inutile e puoi solo tacere perchè non ci sono parole contro la paura...

Esperienze

Sono notti stranamente calde in terra alsaziana.
Lo Scettico ed io sonnecchiamo in un continuo rigirarsi, 'chè  abbiamo perso l'abitudine al caldo.
Nel silenzio della notte, suona il telefono.
Scettico esce dal letto con una velocità inaspettata e nei brevi secondi in cui percorre il corridoio la mia e immagino anche la sua mente, si annuvola di tetri pensieri.
A favore della tesi che sotto stress la mente procede ad una velocità supersonica elenco tutti, ma proprio tutti, i possibili fatti nefasti che dovrò affrontare tra pochi secondi.
Tre, due, uno...è un corridoio lungo, casa degli anni sessanta quando gli architetti gestivano spazi senza problemi...silenzio.
Quando il telefono era un telefono fisso in ogni caso dovevi alzare la cornetta e dire:  Pronto?
Poi potevi sbizzarrirti in sequele di parole che prese da sole hanno significati diversi di quelli che assumono se abbinate in particolari combinazioni...il mio papà, in quanto toscano verace, era molto bravo con queste libere associazioni.
Il silenzio in fondo al corridoio mi inquieta e al tempo stesso mi rassicura.
Finalmente oso: Chi è?
- Gli Stati Uniti- borbotta uno Scettico molto più lento sulla via del ritorno.
Nel buio della notte lo schermo del cellulare sembra voler sottolineare l'importanza della chiamata.
Gli Stati uniti è un modo carino per definire il lavoro dello Scettico.
Solo il crollo della borsa di NY, una guerra termo nucleare, la morte accidentale di tutta la prima linea di dirigenza della società può giustificare una telefonata alle tre e trenta di notte.
-Deve essergli scappata- cerca di giustificare uno Scettico incuriosito.
- Hanno lasciato un messaggio però!-
Sdraiati, assonnati, increduli ascoltiamo la voce della signorina della segreteria che, in un inglese mettallico, ci rassicura che: c'è un messaggio e che adesso, subito, un attimo please, lo ascolteremo.
Suoni di passi nella notte, rumori di chiavi, portiere di auto che sbattono...
Per qualche secondo siamo nella tasca degli Stati Uniti.

giovedì 20 giugno 2013

Al posto del tempo

Gironzolando in rete troverete centinaia di blogs dedicati al fai-da -te, al bricolage, decoupage, ricamo, creazioni varie...
C'è di tutto per chi ama il genere, per chi ha tempo, per chi ha le mani d'oro, per chi ha fatto dei corsi, per chi ha mobili vecchi in cantina...
Io non ho seguito un vero corso ma ho avuto il piacere di incontrare Cathy che mi ha accolto (raccolto) nel suo angolo sotto le scale in una fredda giornata di febbraio e con pazienza infinita, qualche caffè, e sorrisi senza moderazione mi ha raccontato il mondo della patine.
In poche parole la tecnica consiste nel sostituirsi al tempo, ambizione non da poco, ricreando su mobili e oggetti la sensazione di antico o semplicemente di vecchio se siete poco poetici.
Ho aspettato un po' a mettermi all'opera dopo la lezione di Cathy, è vero, ma complici i bei giorni mi sono finalmente lanciata.
 In uno sperdutissimo villaggio alsaziano ho incrociato un signore che svuotava la sua casa invadendo con mobili e oggetti tutto il marciapiede.
L'ho visto e ho subito pensato che poteva essere un bel banco di prova, anzi un carrello di prova:

 
Ho svaligiato l'armadio bricolage dello Scettico e in un pomeriggio ho lavato e sverniciato il carrellino da servizio. Il giorno dopo, ecco il primo passaggio e a sera aveva questa faccia:
 
 
Dodici orette di riposo e ritrasformazione:
 
 
Altro riposino indispensabile e incomincia il vero lavoro. Ecco quello che dovrebbe fare il tempo in tot anni insomma!
 
 
Manca ancora un passaggio, la posa della cera che è praticamente il tocco magico e che darà una personalità al mobile. E qui sorgono i dubbi: patina da vecchio mobile del tipo ti ho appena tolto dalla soffitta o aspetto più da alternativo con cera chiara?
 
 

mercoledì 19 giugno 2013

Gente di frontiera


 

Non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche, sociali, culturali, psicologiche, anche quelle
invisibili che separano un quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone, quelle tortuose che nei nostri inferi

sbarrano la strada a noi stessi. Oltrepassare frontiere; anche amarle – in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le
danno forma, salvandola così dall’indistinto – ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue.

Saperle flessibili, provvisorie e periture, come un corpo umano, e perciò degne di essere amate; mortali, nel senso di

soggette alla morte, come i viaggiatori, non occasione e causa di morte, come lo sono state e lo sono tante volte.

Viaggiare non vuol dire soltanto andare dall’altra parte della frontiera, ma anche scoprire di essere sempre pure dall’altra parte.

Claudio Magris
 

 

Chi, come me, è nato vicino ad una frontiera  legge sicuramente queste parole di Magris con lentezza, assaporandone il suono.
Oltrepassare frontiere...da bambina la frontiera mi incuteva un certo timore, avevo paura che qualcosa andasse storto, che i militari dall'aria severa ci potessero fermare e far tornare indietro, giudicandoci non pronti per andare oltre.
Eppure era una frontiera vicina e strana perchè, dopo, oltre, non cambiava niente.
 Stesso suono nelle voci, stessi gerani alle finestre, stessi colori nelle case, anche le corna di cervo sopra i grandi portoni dei masi.
 Ero ancora a casa ma ero oltre, in  terra straniera.
Tutte le volte mi chiedevo: chi  avrà deciso,  esattamente, dove deve passare quella linea immaginaria, ma tangibile, che divide due stati?
 Il grande dubbio era: ma se c'è una casa in mezzo e metti che decidano di farla passare proprio in soggiorno, la linea, come farà chi ci abita? I grandi ridevano di questa possibilità e la risposta immancabilmente suonava: non è possibile!
 A parte che gli adulti sono esseri privi di fantasia e questo i bambini lo sanno, io ero sicura che nessuno avesse mai percorso, a piedi, visto che passava sulle montagne, tutta la linea di frontiera per verificare e, sicuramente, qualche baita sperduta si ritrovava tagliata in due come faceva nonna con il filo per tagliare la polenta.
Di frontiere, poi, da grande, ne ho passate molte: frontiere fricchettone, frontiere serie, frontiere polverose e dimenticate, frontiere armate e con mitra nervosi.
Ma le frontiere più difficili sono state quelle invisibili. Sono le frontiere che non sono disegnate su nessuna carta geografica, che non tagliano in due niente, ma che sono create dalle menti degli uomini. Ci sono frontiere che per passarle non serve un passaporto ma un codice stereotipato di linguaggio e di abbigliamento  e c'è chi ti becca subito se non sei pronto per andare oltre.


 




martedì 18 giugno 2013

Gente in viaggio

Questo fine settimana Mìgola era in trasferta.


 
Un rientro veloce per incontrare gente in viaggio.
 In tutti questi anni ho incontrato tanta gente in viaggio, pochi stanziali.
Gli stanziali sono poco interessati ad aprire gli occhi e il cuore.
Chi viaggia ha lasciato alle spalle tante cose importanti, ha salutato, ha nostalgie e piccole lacrime messe in tasca.
Chi è stanziale è reso insensibile dall'abitudine, è circondato dai vecchi amici di scuola, ha punti di riferimento e locali dove entrare, ha sempre impegni e cene da rifiutare.
Quando raggiungi la nuova meta appoggi le valige, ti guardi intorno e incominci a sorridere per continuare.
In genere solo la gente in viaggio, come te, ricambia il sorriso, ti viene incontro, ti allunga una mano che sa di casa e ti dice: benvenuta.
Quando è il momento di ripartire, la tua piccola famiglia, che ti sei ricreata intorno abbastanza faticosamente, ti abbraccia e ti presta una tasca dove lasciare la tua lacrima.
Ecco, sono andata a prestare la mia tasca a qualcuno che ricominciava il viaggio.
 

lunedì 17 giugno 2013

Sindrome di Stoccolma

Come puoi non affezionarti ad una terra che ti tiene a digiuno di luce per mesi, ti affama di calore, ti incatena in casa tutto l'inverno, ti copre di neve e ti dimentica sepolta per qualche tempo, apre uno squarcio di cielo, ti attira fuori dalla tana e ti colpisce di grandine a tradimento?
Poi, una mattina, spalanca il cielo, lucida i suoi campanili migliori, sparpagliati nella campagna più verde che esista al mondo, butta una manciata di cicogne a volteggiarti sulla testa e  lascia che tu scivoli  e rotoli  lungo le sue strade che altro non sono se non ottovolanti antichi.
E tu ti lasci sedurre, senza difese, rammollito dalla dura cura invernale, respiri aria pura come un malato di tisi, sorridi con l'aria beota e pensi di vivere in un paesaggio di fiaba...



Ps Immagini tratte dal web poichè io ero troppo presa dal volo circolare delle cicogne!
Ringraziando gli autori.

giovedì 13 giugno 2013

Notti intense...

Se la mia vita fosse la lista della spesa ci sarebbe sempre bisogno di comperare  sogni perchè ne faccio un gran utilizzo.
Quando qui, in casa di Mìgola, si viaggiava al completo c'era sempre bisogno di comperare carta igienica perchè, ricordo che, se ne faceva un gran utilizzo.

Paragonare i miei sogni alla carta igienica non è poi così assurdo come potrebbe sembrare.
I sogni puliscono, pare, il nostro cervello durante la notte e lo risettano facendoci essere quelli che siamo, giorno dopo giorno.
Un bisogno fisiologico, insomma, come tanti altri.

Io li utilizzo a piene mani questi sogni e la mattina, appena apro gli occhi, loro si affollano tutti alla porta del ricordo e vorrebbero uscire in massa per essere raccontati, ripensati, rigoduti.
Lo Scettico lo sa.
Certo che lo sa.

Questa notte ero Jacovitti



Non sono assolutamente amante dei fumetti, nemmeno da bambina li amavo e credo fossero parecchi anni che non vedevo una striscia di Jacovitti. Sono dovuta andare su Google per rispolverare il ricordo di lui e delle sue creazioni e lo pensavo morto da qualche mese, sicuramente confondendolo con qualche altro disegnatore.
 Un mondo bizzarro quello di Jacovitti, pieno di personaggi, pochi spazi liberi, colori vivaci, tantissimi particolari e situazioni assurde...proprio come i miei sogni.

Nel  sogno ero stato invitato ad un ricevimento e ogni tanto qualcuno mi riconosceva e mi indicava pronunciando piano, al suo vicino, il mio nome. Io sorridevo  e annuivo con la testa, con gesto modesto ma soddisfatto, per rassicurare che, già, ero proprio io, Jacovitti.
Intanto i camerieri portavano via i resti di una enorma torta  che nessuno mi aveva offerto.
Peccato, pensavo, io che sono così goloso di dolci.

Wikipédia non mi ha saputo dire se Jacovitti era goloso.

Il titolo del post utilizza la solita tecnica dei nostri giornali, scrivere cose che lasciano alludere a qualcosa che non ritroverai certamente nel contenuto dell'articolo.

Cosa vi pensavate?!




mercoledì 12 giugno 2013

La prossima vita...

La prossima volta, che purtroppo però non mi ricorderò che è una prossima e penserò che sia la prima, la prossima volta che nasco, dicevo, voglio essere un maschio.
Grande e grosso. Voglio essere almeno un metro e novanta e mangerò tantissimo fino a pesare un centinaio di chili.
 Voglio essere peloso, peloso e mi farò crescere una barba incolta e lunga e il capello  sarà  assolutamente non curato e quando avrò una chioma leonina, mi farò il codino, già!
Mi comprerò una serie di canottiere bianche e un giubbotto di pelle e mi farò una serie di tatuaggi da paura.
Penserò che le creme antirughe sono delle cagate e mi laverò con il sapone da bucato, tanto è lo stesso.
Voglio imparare a ruttare fortissimo e fare aria sotto le lenzuola, ma non dirò certo" fare aria" che è roba da donnette.
Da giovane ne combinerò di tutti i colori e farò diventare matta la mia mamma, farò pugilato e mi romperò il naso, finirò almeno una notte in galera e farò tardi in locali puzzolenti giocando a carte.
Mi comprerò  una moto rumorosa e grossa e andrò in giro da solo senza meta per rimorchiare e in gruppo per far paura e ogni tanto ci dovrà pure uscire una scazzottata con qualcuno.
Farò il sottocuoco, il barista, il muratore, lo scaricatore, l'uomo di fatica in un circo, il pescatore su un peschereccio d'alto mare, il camionista, e la scorta a un contrabbandiere di sigarette al confine spagnolo...
Fumerò toscani puzzolenti e berrò solo una marca ben precisa di vodka, anche di mattina presto.
Con questi presupposti credo che non mi sposerò ma ci arriverò vicino almeno una volta e quando sarò vecchio rimpiangerò di non aver avuto figli ma a quel punto sarò in un villaggio di frontiera del Mali e guiderò un fuoristrada per rifornire una qualche associazione umanitaria rischiando tutti i giorni di essere fatto fuori dai banditi e sorriderò tornando a casa con la macchina piena di cibo e medicine per i miei ragazzi.
Sarà una figata, lo giuro.
Spero di ricordarmelo...

venerdì 7 giugno 2013

Questionario per i miei fedeli lettori...

  • Condividi l’idea che il blog di Mìgola ti informi su lasciti e testamenti?

  •  Sai che ai tuoi cari resterà comunque una quota?(piccola, piccola, tanto si sa che i figli sono degli spendaccioni!)

  •  Sai che per fare un testamento olografo basta un foglio bianco e una firma di proprio pugno? (puoi usare anche la carta del prosciutto!)

  •  Quali motivi ti trattengono ancora dal devolvere parte della tua eredità al blog di Mìgola?(eh?!Quali?!)

  •  Pensi che costi o non hai un notaio?

  •  Possiamo inviarti un opuscolo che possa spiegarti come fare?

  •  Vuoi che una persona di fiducia di Mìgola ti contatti direttamente?( Mìgola ha tanti amici grandi e grossi con tanto tempo libero!)
Quando un'idea è buona bisogna coglierla al volo!

martedì 4 giugno 2013

Giorni...

Quattro giorni randagi con lo Scettico e Peloso in perfetta simbiosi di pelo, bava, baci sul collo, fango, coccole.
 Lascio a voi la capacità di fare i giusti abbinamenti.
Due giorni passati nella fiabesca terra rosso crociata a fare il pieno di occhi, di capelli, di profumo maschile, di barbe lunghe, di sorrisi e occhi stanchi.
 Abbiamo raccolto ogni briciola di racconto condiviso, riso delle scenette create dal gioco delle parti tra i due fratelli, assaporato racconti piccanti e dato consigli assolutamenti inutili.
Il Tecnico è veramente in dirittura d'arrivo e nelle sue parole c'è già la nostalgia della vita universitaria.
Cucciolo è in full immersion totale nel suo primo anno, zeppo di cucine, aule, rugby, disco, cene.
È bello vederli insieme, così diversi e così complementari, anche se non lo sanno.

Poi, tornati a casa, ci siamo regalati una giornata di sole a due e, finalmente, abbiamo fatto un giro in moto, ognuno con la sua ed io ero veramente sorpresa di me stessa e, lo confesso, ogni tanto, di soppiatto, mi guardavo nelle vetrine in versione Narciso motorizzato.


Stringendo con le gambe la mia moto sempre più calda, il ricordo  è andato a quel pomeriggio  assolato in cui avevo infranto le sacre regole inviolabili e avevo preso il motorino di papà, di nascosto, mentre i miei non c'erano e in teoria ( mannaggia!) avrebbero dovuto starsene fuori fino a sera.
 Ci avevo messo un'eternità a metterlo in moto e poi ero partita per un giretto veloce del quartiere. Credo che, in termini di distanza, devo aver percorso circa cinquecento metri e immediatamente si è materializzata, come una maledizione, la sagoma verde della macchina di papà.
  Vi assicuro che ho ancora in mente, a colori,  il fermo immagine con l'espressione dei due: gli occhi allibiti di mamma e il mezzo sorriso stile" lo sapevo" di papà.
 A niente servirono i giuramenti lacrimosi che era stata la prima volta in assoluto, che non si sarebbe ripetuto mai più, il motorino si dissolse come per magia nel giro di ventiquattro ore e ci furono anche altre punizioni minori che non ricordo più bene.
 Fui sommersa di racconti raccapriccianti di incidenti mortali e non, capitati a praticamente tutti i quattordicenni conosciuti che avevano avuto l'ardire di salire su un motorino.
 Questi racconti avrebbero colpito di sponda anche il Tecnico, come lui ben sa, più di venti anni dopo.
 Cercavo di immaginarmi l'espressione dei miei genitori se mi avessero sorpreso, adesso, su una moto simile e, poichè l'immaginazione è autonoma, mi sono lasciata andare ad una bonaria scrollatina di testa ma so benissimo che non è per niente realistica.
Sarò prudente, promesso!