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lunedì 11 marzo 2013

Non sono pronta...

C'è la casa dove sono cresciuta, è adagiata su una collina, un po' stretta tra altre case, adesso.

Quando ero bambina si ergeva fiera, decorata di rose, altezzosa. Solitaria, osservava la città che si stendeva nella valle e aveva l'aspetto soddisfatto di chi si è installato proprio bene.
Io non le ho mai viste ma mi raccontavano di greggi di pecore che la sfioravano cercando i pascoli  ed io le immaginavo curiose ad annusare il cancello con il pastore che si fermava a riposare guardando le rose e alzando il cappello per salutare mia nonna al balcone.
Poi, ogni tanto, passava una macchina ma piano piano perchè la strada era bianca e polverosa ed io  ci sono già allora in una foto, piccola, vicino alla macchina grande del nonno e ho una pellicciotta bianca, come la strada.
Quando ero bambina si giocava su quella strada e in maggio le rose coloravano ancora il giardino ed era come stare in campagna con le bisce che uscivano da sotto i sassi e i maggiolini a gruppi intorno al glicine e il picchio sul cipresso.

C'è la casa dove sono cresciuta, è abbandonata adesso sulla collina.
 È come una vecchia signora che porta un cappotto logoro e nessuno le ricuce i bottoni che, ogni tanto, perde per strada. Le rose non ci sono più e nemmeno le bisce ma macchine, macchine, suv, monovolume e piccole utilitarie sfacciate che si litigano i posteggi contati.

C'è la casa dove sono cresciuta, è spenta adesso e se ne sta infagottata al freddo aspettando che qualcuno vada ad accendere la caldaia. Nessuno ha il coraggio di dirle che i tubi sono stati staccati, che l'acqua non scorrerà più.
Ogni tanto qualcuno va in visita ma sono occhi sconosciuti, mani che non sanno, bocche che non sorridono. La guardano e ne scrutano i difetti, le crepe, le travi vetuste. La trasformano in cifre, la riducono in metri quadrati. Nessuno si è seduto in giardino e ha guardato la forma fiera del cipresso che si staglia davanti alla Paganella, nessuno ha aspettato di vedere scendere il sole dietro il Bondone per scoprire che la casa si tinge di rosa in ricordo dei giorni lontani di maggio.
Salgono le scale, seri e professionali, e non sanno quante volte io le ho scese, saltando i gradini tre e anche quattro alla volta, per giocare a rincorrere il cane, per andare a scuola, per accogliere lo Scettico quando arrivava il sabato mattina. Le ho scese vestita di bianco. Le ho salite, tornando dall'ospedale, con il Tecnico appena nato tra le braccia. Le ho scese per accompagnare bare di legno biondo.

C'è la casa dove sono cresciuta, sulla collina e tra un po' dovrò dirle addio e non sono pronta.

9 commenti:

  1. Cara Mìgola, tante volte ci sono delle circostanze che anche se non si è pronti bisogna accettare, sperando che la ferita rimargini in fretta. Ciao e buona notte, amica.
    Tomaso

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    1. Hai ragione Tomaso! e se la ferita non si rimargina almeno che restino i bei ricordi. Grazie di essere qui!

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  2. E' un peccato che non possiate tenerla, ma capisco che a volte la vendita è inevitabile. I ricordi però non te li porterà via nessuno.

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  3. È un po' come tagliare le proprie radici: ogni distacco è doloroso.
    Ci passo, di tanto in tanto, pur senza conoscerla personalmente: strade strette, pochi parcheggi, qualche condominio e ancora ville, anche signorili. Una bella zona. È un po' l'effetto che fa a me quando passo davanti alla "mia" vecchia casa di Malosco o sotto a quella, in aperta campagna, di Caldaro. È la ruota che gira, cara Mìgola, e che ci trova sempre impreparati e infagottati nei ricordi.

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    1. Guido come sempre hai capito benissimo quello che provo...'sta ruota gira e a volte però avrei voglia di infilarci in mezzo un bastone e fermarla, almeno un po'!
      Quella zona era meravigliosa adesso è troppo abitata e ha perso un po' di fascino. Un carissimo saluto.

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  4. Se tu sapessi quanto volte in questi mesi ho dovuto entrare in quella casa vuota, fredda, ritrovarmi li, in stanze tristi e buie ripensando ai bei momenti passati, alle risate di grandi e piccini, e seppur ben coperta con sciarpa attorno al collo e stivali imbottiti di pelo ai piedi, ne uscivo fredda come il ghiaccio, triste e con gli occhi umidi, dopo aver accompagnato persone che, come dici tu, nulla sanno di ciò che quella casa e noi con lei abbiamo vissuto. Estranei che la guardavano con occhio critico parlando di ristrutturazioni varie e poi, alla fine, un grazie, una stretta di mano accompagnata dalla solita frase: le faremo sapere qualcosa.
    Ripassavo allora da ogni stanza per chiudere le tapparelle e, ritrovandomi sola, il freddo si faceva sentire ancora di più.
    Ora si parla di abbattere la casa dove anch'io sono cresciuta, quella casa che mio padre, con enormi sacrifici, aveva fatto costruire per la sua numerosa famiglia e la parola abbattimento, pronunciata in mia presenza solo qualche giorno fa, è stata come una coltellata al cuore. Anche se con dispiacere, anche se saranno degli estranei a farlo, preferirei vederla ringiovanita all'esterno ed all'interno, ma in fondo sempre lei, la nostra casa di famiglia!
    Cara Migola, non mi crederai, ma mi hai battuta sul tempo!
    Non dico che avrei scritto le stesse cose, tu sei molto più brava di me, soprattutto nella descrizione degli stati d'animo e degli avvenimenti.
    Il titolo non sarebbe stato lo stesso, ma posso dirti che nemmeno io sono pronta, non so nemmeno se lo sarò mai!
    Vorrei chiederti l'autorizzazione ad inserire il link a questo post, assieme al mio commento, sul mio blog.
    Ciao, un grande affettuoso abbraccio

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  5. Certo che puoi...avremmo potuto scriverlo insieme questo post, a due mani perchè le nostre sensazioni sono assolutamente complementari! Non saremo mai pronte a questo distacco e il ricordo di questa casa ci seguirà per sempre! Un bacio

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  6. i ricordi vi appartengono e nessuno ve li toglierà, ma altre cose cambiano e non sono più nostre ancor prima di separarcene. Tenetevi stretti gli affetti che nei ricordi rimangono vivi. Il resto è solo materia. Il cuore è di più

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