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mercoledì 15 maggio 2013

Di Angelina e della Bestia

Con la brutta Bestia c'è una storia, una frequentazione di lunga data.
 La conosco da quando ero bambina.
C'era intorno a me chi la chiamava "la" malattia, chi ne cambiava il genere e la faceva diventare "un" brutto male, chi per non nominarla si esercitava in lunghe elocubrazioni.
Quando ero bambina, seduta vicino al letto di mia nonna, me la immaginavo come un grosso microbo, qualcosa di strano, magari con scaglie e peli, annidato nella pancia della nonna e, poichè lei spesso si massaggiava la pancia, mi credevo che la volesse blandire, la brutta Bestia.
Quando nonna se ne andò maledissi il microbo con tante parole, anche stupide, come fanno i bimbi.
Poi la Bestia, che secondo me se ne era restata acquattata in un angolo polveroso della stanza di nonna, prese di mira il nonno e intorno a me si ricominciò la litania delle definizioni dette a mezza voce.
Forza nonno, qui c'è poco da scherzare, ci dobbiamo mettere al lavoro, pensai, ma non dissi niente perchè lui non aveva nemmeno la metà del  coraggio di nonna.
 Fondamentalmente si sedette e aspettò.
 Ma era anche molto arrabbiato, non con la Bestia, come mi sarei aspettata, con i santi che tanto aveva pregato e amato durante tutta la vita e di cui conservava nel portafoglio immagini come fossero stati nipoti lontani.
Un pomeriggio le immagini volarono lontano nella stanza e, grazie alla qualità pregiata della carta su cui erano stampate, ci misero un'eternità per ricadere sul pavimento.
 Ricordo che pensai che poteva essere la prova dell'esistenza di un'entità superiore questa lentezza e questa eleganza nella caduta, come se una mano invisibile le avesse raccolte e accompagnate con devozione.
 Nell'aria pesante risuonò l'unica bestemmia di tutta una vita.
Crescendo mi resi conto che  la Bestia si annidava in parecchie stanze, che ognuno aveva il suo modo di annunciarla o di negarla, di sottovalutarla o di farsi battere già in partenza. Quando qualcuno raccontava che "la" malattia lo aveva colpito io lo guardavo negli occhi e cercavo di capire se sarebbe stato un combattente come la nonna o un  disertore triste come il nonno.
Quando un medico alto e magro sentenziò che la Bestia era ancora con noi guardai negli occhi mamma e sbagliai completamente categoria. Che errore scambiare un guerriero per un codardo.
 Per un pomeriggio intero restò rannicchiata nel letto mostrandomi le spalle ed io le massaggiai la schiena per blandire il microbo. Nessuna parola, nessun nome, non lo chiamammo mai, per tattica.
Adesso che mamma se ne è andata, la Bestia è, per me, da qualche parte in uno spazio immaginario ma sempre più affamata.
Mi è stato chiesto se volevo fare un esame per vedere se mi trova gustosa e in che percentuale.
- "Sa, se la percentuale è alta possiamo fregarla, le togliamo il cibo da sotto il naso."
 Astuti!
-"No, grazie."
Vede, lo so già che sono gustosa, è una questione di famiglia, gustosi di nostro, ma non ho nessuna intenzione di aspettare anni sapendo che è già dietro la porta.
 Ho deciso di voltare le spalle alla Bestia, di non farle sconti, di usare la tecnica del "ti tengo d'occhio" ma facendo finta di niente.
Non lo so se Angelina ha fatto bene ad affrontare la sua Bestia in modo così diretto, stranamente mi viene in mente quella canzone di Vecchioni, Samarcanda, dove il soldato scappa lontano solo per arrivare dalla Morte che non lo aspettava più.
La Bestia è infida e se ne frega delle percentuali, una Bestia con le scaglie e con i peli le schifa le percentuali.