Pagine

venerdì 30 gennaio 2015

Funeral home

Ieri sera ho partecipato ad un funerale americano.
Sono entrata per la prima volta in una funeral home.
Una funeral home è proprio come una casa, niente a che vedere con le squadrate, asettiche e tristissime camere mortuarie a cui siamo abituati in Italia o meglio a cui sono abituata io, visto che non conosco certo tutte le realtà italiane.
Morbidi divani, caminetti accesi, librerie piene di libri veri. Una vecchia villa silenziosa e accogliente    dove i passi si fanno felpati su soffici tappeti. Una foto incorniciata all'ingresso ti dice che il tuo amico, conoscente, parente ti aspetta nella sala rossa in fondo a destra ma senza fretta, togliti il cappotto, scaldati davanti al fuoco se vuoi. Vuoi qualcosa da bere? Accolto e accompagnato entri nella sala piena di gente, di bambini, di foto e disegni. Diresti una riunione di famiglia, di quelle importanti. Le bimbe sono piene di fiocchi e vestiti eleganti e senza scarpe. La vedova è seduta su un divano vicino al morto e tiene  in braccio una nipotina, chiacchera con una vecchia amica e ogni tanto tiene d'occhio il marito come facciamo noi donne, mi raccomando non esagerare, diplomatico, amabile con lo zio brontolone, cravatta a posto?
I figli, che sono grandi copie del signore adagiato nella bara, accolgono parenti e amici con vigorose strette di mano e abbracci forti. C'è voglia di raccontare e il vecchio signore è nei racconti che si sviluppano nei vari angoli della grande sala. Ogni tanto riceve la visita del nipotino di sei anni che lo tiene al corrente degli arrivi e gli presenta i vari amichetti. Solo un attimo grandpà, perché abbiamo parecchie cose da fare.
Ho salutato anch'io questo vecchio signore che non conoscevo affatto, ho curiosato negli  istanti importanti della sua vita attraverso le foto che aveva accanto. Lui bimbo alla fine degli anni trenta, studente con enormi occhiali negli anni cinquanta, giovane sposo negli anni sessanta, felice papà verso gli anni settanta, pelato e sorridente sotto alberi di Natale negli anni ottanta, con la pancia ma sempre sorridente per il resto della sua vita e con altri bimbi piccoli tra le braccia, quelli che adesso corrono nella sala, che è la sua foto finale.
Mi è piaciuto questo momento. Avrei voluto qualcosa di simile anche per i miei. Un posto caldo e accogliente dove stare con  i tuoi per celebrare un momento difficile ma sempre parte della vita. Mi sono immaginata come sarebbe potuto essere il commiato della mia guerriera, in una situazione simile, con la sala rossa piena di amici e di tutta la gente che avrebbe raccontato di lei e del suo coraggio e le foto dove  sarebbe stata splendida e sorridente. Poi ho immaginato la sala rossa piena di cacciatori vestiti di verde e con i rametti di pino sui cappelli e i gagliardetti dell'Arma momentaneamente abbandonati negli angoli per poter abbracciare i commilitoni. E quelle foto dove papà faceva finta di essere un pugile serio, e quella dove è in divisa con me piccolissima in braccio.
Buon viaggio vecchio signore.
Nice to meet you.


venerdì 16 gennaio 2015

Octopus

Ho cambiato scuola. Anzi sono stata gentilmente espulsa dalla scuola che frequentavo, è una lunga storia ma vi assicuro che non ho fatto niente di male e che non è colpa mia.
Adesso vado in un'altra scuola. Compagne nuove e c'è anche un maschietto, povero.
Tante coreane e giapponesi, ancora. Meno messicane e più  brasiliane, una sola italiana. Sono un'attrazione.
 A sentire la prof non c'era un italiana in classe da long-time.
Mi piace dire che sono italiana perché, qui, scatena una serie di gorgheggi e degli occhietti allegri  e attenti che ti guardano come se tu fossi un panda.
Tutti sanno dov'è l'Italia,  tanti hanno fatto viaggi faticosissimi in Italia, moltissimi sognano di andarci in Italia ma pochi la conoscono veramente.
Oggi a scuola abbiamo parlato di morti, anzi di morti imbalsamati e se  ho capito bene, cosa non certo scontata, qui negli USA è pratica comunissima imbalsamare i propri cari per poi tumularli in placidi prati da dove non si muoveranno per almeno cento anni.
Ho messo da parte ogni vergogna e ho chiesto:" Uno, zero, zero? Really?"
C'è tanto spazio qui, lo dimentico spesso.
Cento anni di riposo indisturbato. Che lusso, ho pensato. La mia europeità, che mi costringe a pensare sempre stretto,  fatica ad abituarsi ai grandi orizzonti americani.
Sette anni! Ha sentenziato una delle messicane: " da noi restano in terra sette anni."
Really?!
Quindici! Ho azzardato io, sentendomi un po' meno stretta di Città del Messico.
In Giappone non si discute, fumo e ceneri ma c'è tutta una strana proceduta di giorni da rispettare che non ho sinceramente capito. Le coreane hanno provato a spiegare qualcosa che c'entra con le fasi lunari. Che fatica, ragazze.
La mia nuova prof ha una certa età ma è curatissima, ha un forte senso dell'umorismo che trovo molto europeo, è nata e vissuta nel raggio di dodici miglia e credo viaggi il mondo attraverso i suoi allievi. È curiosa ma educata e pronta a mettersi in gioco nel raccontarsi.
Fissata con la fonetica, fa strani gesti con le mani che dovrebbero rappresentare i suoni e devo dire che alla fine funzionano.
Ad esempio adesso so perfettamente come si pronuncia: octopus.
Il difficile è infilare la parola octopus in un colloquio normale e basico, quelli miei, insomma.
Si accettano suggerimenti.






giovedì 8 gennaio 2015

Io questa notte sono Charlie.

Charlie Hebdo stazionava spesso sul comodino del Tecnico.
Le sue vignette irriverenti, acute, pungenti ci hanno fatto ridere ma anche pensare e spesso ci hanno permesso di toccare argomenti delicati o sconosciuti.
 Quei personaggi dai grossi nasi e dagli occhi tondi sembravano voler uscire dalle pagine del giornale per scandalizzarci meglio.
Non eri mai al sicuro con Charlie, di qualunque religione tu fossi. Una volta era il Profeta, un'altra il Papa o un rabbino ad essere presi di mira. Non si salvavano i politici di ogni colore, gli scrittori,  gli attori,  i finti ecologisti e i militari. I capi di Stato, i premi Nobel.
 Charlie non faceva sconti  a nessuno e nessun argomento era tabù, nemmeno quelli più delicati e apparentemente intoccabili. Questa era la forza di Charlie.
Molte volte di fronte ad uno scandalo o ad un fatto di cronaca eclatante ci si trovava a pensare: chissà cosa si inventeranno quelli di Charlie? E spesso, mentre passavi davanti ad un'edicola, sbirciavi  per guardare la vignetta della prima pagina.
Termometro di una società multietnica, agitatore di culture diverse destinate alla convivenza, questo era il giornale. Senza limiti, senza rete, senza barriere. Intelligenti e stupidi come adolescenti in cerca di guai. Provocatori e paladini di una libertà assoluta. Dissacratori e amanti della vita. Goliardi e pronti alla lotta.
Questi erano i disegnatori di Charlie.
No, non sono tutti morti, lo so.
Ma da oggi niente sarà più come prima, perché quelle scrivanie insanguinate cambieranno il modo di disegnare e cambieranno il nostro modo di leggere quelle vignette. Ci sarà un Charlie prima e un Charlie dopo e quello dopo non potrà non fare i conti con la responsabilità di dover essere all'altezza, di dover essere dissacrante nonostante, di dover essere con ( alla francese) nonostante...
E come sempre mi chiedo: cosa si sarebbero inventati oggi, i quattro di Charlie, come ultima vignetta da prima pagina? Di sicuro non ci sarebbe stata nessuna retorica, nessun autoincensamento, niente martiri o eroi ma una grassa risata più rumorosa delle armi automatiche.
Io, questa notte, vorrei saper disegnare.
Io, questa notte, sono Charlie.