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domenica 26 ottobre 2014

Ci sono notti...

Questa notte sono stata un marinaio su un veliero. Era sera o comunque c'era poca luce  ed eravamo in piena battaglia.  Un enorme veliero faceva rotta contro di noi probabilmente per un abbordaggio o per speronarci. Era una nave turca (pensate alla battaglia di Lepanto e avrete la giusta ambientazione storica) e noi una nave cristiana.
Improvvisamente nel cielo è apparso un crocefisso intagliato nel legno che ha incominciato a parlare alla nave turca. Noi della nave cristiana non capivamo le parole che anzi ci sembravano  solo delle forti grida.
Terrorizzati dall'apparizione e dalla potenza della voce quelli della nave nemica decidono di virare e andarsene. Tutti a bordo sappiamo che il miracolo è opera di S. Rita da Cascia e tra abbracci, risate e virili pacche sulle spalle ci diciamo che è proprio forte 'sta santa.
Nessun clima mistico, niente preghiere o ringraziamenti come se la santa fosse stata una di noi, tosta e ingegnosa. Credo anche di averla vista girare a bordo e di averci parlato.
 Mi sono svegliata che ancora sorridevo.

Interno mattutino:

- Sai Scettico, questa notte ho sognato S Rita da Cascia. Forte 'sta santa.
- Certo.
- Ha fatto un miracolo scenograficissimo.
- Chi?
- S. Rita..
- E chi è?
- Una santa.
- Te la sei inventata?
- Ma no! Adesso mi metto ad inventare i santi...




martedì 14 ottobre 2014

What are little girls made of? Sugar and spice And all that's nice, That's what little girls are made of!

Vado ancora a scuola.

 La mia scuola non finisce mai.
 Credo che ci sia una specie di punizione, messa in atto da qualche spiritosa entità superiore, che dura da quando avevo tre anni. 
A tre anni, in un Alto Adige che all'epoca non era proprio friendly con chi non parlava il tedesco, mi sono ritrovata ad essere l'unica bambina che parlava l'italiano iscritta nel piccolissimo asilo del paese. Narra la leggenda che, spinta dall'entusiasmo iniziale, tenessi piccole conferenze, su argomenti vari, per un gentilissimo ed attento pubblico di paciosi bimbetti che ascoltavano ammaliati l'esotica attrazione  e che sottolineavano con convinti Ja soprattutto le colorite espressioni da caserma di cui avevo una approfondita conoscenza. 
 Dopo tre giorni di conferenze però devo essermi annoiata parecchio perché pare che, con la scusa che "quei bimbi non mi somigliavano", nessuno sia stato più capace di riportarmi all'asilo.
Punita.
 Adesso vado in un "asilo" super friendly con chi non parla l'idioma locale ma dove devo assolutamente sforzarmi di parlarlo o mimarlo o disegnarlo, insomma dove, anche se non mi assomigliano, devo starci ed essere anche collaborativa.
Io collaborativa lo sono ma devo anche cercare di controllare molto la mia mimica facciale e assumere espressioni credibili perché, vi assicuro che per quanta buona volontà ci stia mettendo, le giapponesi non le capisco proprio.
Tutte le mattine la lezione inizia con il gioco della palla. Una piccola palla gialla passa di mano in mano e tutte noi dobbiamo deliziare le compagne, siamo tutte femminucce in questo asilo, con piccoli racconti di cose che ci sono successe o con notizie di cronaca dei nostri paesi di provenienza.
Credo che il gruppo delle giapponesi si sia messo d'accordo per prendere in giro il gruppo misto di latine di cui faccio parte. Le due più spigliate si lanciano, a turno, in racconti che a mio parere  sono in un dialetto stretto delle isole Amami, secondo la mia compagna di banco invece è un dialetto del distretto di Shimajiri. La prof secondo me bleffa  o ha una sua tecnica pedagogica che ancora non comprendo e annuisce sempre con grande serietà facendo finta di aver capito tutto. A volte arriva perfino ad estrapolare parole che secondo lei sono in inglese e  tutta felice decreta il "momento vocabolario". 
Io lo so che non è la parola giusta perché ho scorto più volte un'espressione sorniona negli occhi della giapponese. Probabilmente si scambiano ricette o si raccontano barzellette, infatti ridono molto, mentre noi cerchiamo di decriptare le loro frasi.
Noi latine invece, più corrette, cerchiamo di usare l'idioma locale ma nei momenti difficili ricorriamo alle sciarade e siamo bravissime a mimare anche concetti difficili come l'ebola che crediamo voli con delle piccole alucce stile colibrì  o il colore dell'autunno del Michigan che è triangolare. Con noi la prof è molto più severa e ci interrompe spesso con il ritornello del: dovete fare frasi complete!
Ma noi non vogliamo mica far vincere le Giapponesi.
In mezzo ai due blocchi ci sono due russe, ancora più allibite di quanto lo sia io, che rigide catturano la palla e fanno brevissimi e serissimi resoconti delle loro metodiche giornate: niente ricette, niente mimi, niente barzellette. Le russe prendono molto seriamente l'asilo.
Queste bimbe non mi assomigliano ma adesso adoro andare all'asilo, proprio per questo!




giovedì 2 ottobre 2014

At the airport

Se c'è una cosa che potrei fare per ore, senza annoiarmi, è guardare la gente.
Sedetemi in una stazione e divento come un bambino davanti ai cartoni animati la mattina, ipnotizzata.
Gli aeroporti sono ancora meglio perché i viaggiatori sono tutti veri, depurati da perdi tempo e accompagnatori annoiati.
I viaggiatori degli aeroporti hanno occhi attenti e mani nervose perché, anche se in tanti negano, sanno che devono affrontare il vuoto, il cielo e non sono mai pronti.
Da ragazzi, sul trampolino più alto, ci si inventava scuse assurde per non lanciarsi, si rideva molto, troppo, si facevano battute sciocche solo per perdere tempo e rimandare il momento del vuoto e il freddo che ti aspettava.
I viaggiatori degli aeroporti fanno la stessa cosa.
Se viaggiano in gruppo sono rumorosi e si chiamano e ridono e dondolano avanti e indietro cercando la giusta distanza dall'amico. Spostano le valige in continuazione, le raggruppano, le impilano, le aprono, si scambiano oggetti e vestiti per equilibrarle ed in ogni valigia aperta ci sono gli stessi vestiti, ripiegati con cura se stanno partendo, appallottolati con noia se stanno tornando.
Se viaggiano tra maschi sono essenziali.
Se sono donne sono organizzate e piene di borse per tutto, borse che contengono borse più piccole che contengono piccoli contenitori da dove escono oggetti indispensabili.
Se sono mamme con bambini sono agitate e fanno di tutto per innervosire anche i figli che invece sarebbero tranquilli. Si inventano storie fantastiche di mostri spaziali per andare verso il check-in mentre hanno alle spalle piccoli globe-trotter con trolley organizzatissimi.
Se sono anziani hanno sempre tra le mani il passaporto oppure lo tengono appeso al collo come bambini in gita e chiedono, comunque e ovunque, informazioni, anche saltando code lunghissime: "Scusi, scusi ma sa devo volare!"
 I più scaltri si fanno portare in sedia a rotelle e li vedi felici che hanno risolto tutti i loro problemi, finalmente sorridono.
Chi viaggia per lavoro odia i turisti e i turisti invidiano la leggerezza di chi ha solo una ventiquattrore e si infila come un habitué nel percorso intricato della sicurezza.
Li riconosci i viaggiatori seriali: si tolgono le cinture quando mancano ancora duecento metri al controllo, prendono il loro vassoio al volo e lo riempiono, come in un tetris, con passaporto, carta d'imbarco, cellulare, Pc, orologio, penna e porta carte di credito. Sono veloci, precisi e guardano il turista spaesato come un topo da laboratorio. Se hanno molta fretta, a volte, dispensano consigli che assomigliano ad ordini: "Si deve togliere le scarpe!". "Se le tolga lei le scarpe!" Quando poi il funzionario della sicurezza ti intima di toglierti le scarpe, senti nella nuca il pruritino di un sorriso malizioso ma se ti giri, lui, non ti guarda più.
Gli asiatici hanno sempre l'aria stanca e spesso dormono, appollaiati sulle sedie, nel gate deserto, aspettando l'imbarco.
I ragazzi giovani viaggiano con oggetti improbabili nascosti in enormi custodie e con zaini giganti che ti chiedi come potranno poi infilare nei porta oggetti. Aprono il computer in ogni dove e controllano connessioni con voli di altri continenti. Se avete dubbi chiedete a loro sono più informati delle hostess e vi diranno inoltre dove andare a mangiare e a fare una doccia all'aeroporto di Hong Kong o dove riposare di straforo nella lounge chic di Bangalore.
Se avete tempo e dovete aspettare, rimandate letture e schermi di ogni tipo a quando sarete a diecimila metri, qui sedetevi ed osservate, è puro spettacolo.